Stupefacenti SU n. 12348 2019

Stupefacenti SU n. 12348 2019

Statuiscono le Sezioni Unite che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica che appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore, tenendo conto delle rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile e la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti.

La questione riguardava un soggetto che, avendo coltivato delle piante di marjuana, era stato colto nella sua azione ed era stato condannato per illecita coltivazione e detenzione di droga nella propria abitazione ai fini di spaccio, ma occorreva stabilire se questa detenzione fosse effettivamente destinata allo spaccio oppure all’uso personale.

Sul punto, le Sezioni Unite si erano già pronunciate nel senso della rilevanza penale di qualsiasi condotta non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti (anche se per uso personale), spettando al Giudice verificare l’offensività della condotta o l’idoneità della sostanza a produrre effetto drogante. Questo indirizzo era giustificato dal fatto che, anche a seguito delle modifiche della materia, né l’art. 73, né l’art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990 richiamava l’attività di coltivazione tra quelle sanzionate soltanto in ambito amministrativo.

Un’ulteriore pronuncia delle Sezioni Unite ha, invece, stabilito che la coltivazione sarebbe illecita ed offensiva se fosse provato che la sostanza ricavabile determini un effetto drogante, produca alterazioni psico-fisiche. Un tale cambio di rotta è stato giustificato dall’attenzione rivolta al bene giuridico tutelato, ossia la tutela della salute, il cui fondamento si rinviene nella Costituzione.

Pertanto, secondo il primo orientamento non è rilevante la verifica dell’efficacia drogante della sostanza ricavabile dalla coltivazione al momento dell’accertamento della polizia giudiziaria, mentre per il secondo orientamento non solo dovrebbe essere verificata la menzionata efficacia, ma ci si dovrebbe trovare innanzi ad un pericolo concreto di aumento di disponibilità di stupefacente e diffusione dello stesso nella società.

Con sentenza n. 12348 del 2019 le Sezioni Unite sono nuovamente intervenute per fare luce sull’argomento: per poter parlarsi di reato non si può prescindere dalla conformità della pianta coltivata ad uno dei tipi botanici vietati e della sua attitudine a giungere a maturazione al fine di produrre sostanza stupefacente (deve cioè trattarsi, intanto, di una pianta che sia idonea a produrre una sostanza vietata); inoltre, si chiarisce che non può esserci penale responsabilità per il solo fatto di aver posto in essere un’attività (la coltivazione) non autorizzata. Difatti, se la coltivazione è di minime dimensioni e finalizzata esclusivamente al consumo personale deve, di conseguenza, essere considerata come penalmente irrilevante.

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